“Ci sono due verità che non bisogna mai separare in questo mondo: 1° che la sovranità appartiene al popolo; 2° che il popolo non deve mai esercitarla”
[A. Rivaroli]
Parlando di “Sovranità”, si potrebbe dire che l’unica cosa chiara è che è un concetto ancora poco chiaro! Il gioco di parole, in realtà, sottintende che per molti la nozione di “Sovranità” è ancora un tabù. Cerchiamo di fare ordine: in estrema sintesi, possiamo dire che la “Sovranità” è una proprietà giuridica attribuibile allo Stato, in quanto soggetto giuridico, ed indica la posizione di indipendenza nei confronti di altri soggetti, i quali possono essere sia esterni (c.d. sovranità esterna) come ad esempio altri Stati o organizzazioni internazionali, sia interni al proprio territorio (c.d. sovranità interna).
Uno Stato è sovrano quando possiede quella pienezza di poteri che gli conferiscono la capacità di decidere in maniera indipendente rispetto ad altre forze.
Nel nostro ordinamento, da un punto di vista giuridico essa trova il suo fondamento nell’art. 1 della Costituzione; quest’ultima, infatti, definisce sia chi è il titolare sia i limiti del suo esercizio: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti definiti dalla Costituzione stessa.
Chiarito questo punto, possiamo passare al successivo: quali logiche, oggi, sottendono il concetto di sovranità?
È abbastanza evidente a tutti che l’attuale assetto politico-amministrativo ha visto un’importante cessione delle quote di sovranità in capo all’Unione Europea ed a scapito dell’Italia.
Ma c’è di più!
Sul versante della moneta, siamo schiacciati su due fronti: la “politica monetaria” è attualmente attribuita alla UE (come sancito dall’art. 3 TFUE) mentre la “sovranità monetaria” è competenza esclusiva della Banca Centrale Europea.
Qual è la differenza?
La “politica monetaria” individua gli obiettivi, definisce gli strumenti e determina gli interventi da impiegare, mentre la “sovranità monetaria” concerne il diritto esclusivo di emettere moneta in capo ad un determinato soggetto.
Quando uno Stato non può esercitare un controllo sulla propria Banca Centrale e/o quest’ultima non può agire da prestatore di ultima istanza (esattamente come avviene oggi), allora lo Stato è obbligato a far ricorso ai mercati per finanziarsi. In questo caso, i titoli di Stato emessi seguono rendimenti dettati da logiche esclusivamente di mercato, non essendoci nessuna Banca Centrale che possa intervenire nel corso dell’asta per calmierare i tassi di interesse applicati ai titoli.
Gli operatori di mercato che detengono così quote di debito, chiedono allo Stato “efficienza” e “redditività”, perché sono orientati al profitto; parimenti, essi sono avversi alla c.d. “spesa improduttiva”, ossia a tutto ciò che attiene al welfare e ai servizi rivolti alla persona in genere. La conseguenza di tale logica è che tanto più grande sarà il peso del ricorso al mercato, tanto maggiore sarà l’influenza subìta dallo Stato nella scelta di allocare le proprie risorse nelle varie voci di spesa. La risultante è un decremento della qualità di vita dei cittadini a causa della riduzione degli investimenti sul welfare.
Tanto più grande sarà il peso del ricorso al mercato, tanto maggiore sarà l’influenza subìta dallo Stato nella scelta di come allocare le proprie risorse.
Cosa fare?
Occorrerebbe, pertanto, che da un lato l’operatività del governo fosse svincolata da logiche puramente di profitto (lo Stato nasce per tutelare il cittadino e per risolvere le asimmetrie e i fallimenti del mercato), ma al contempo risulti agganciata ad obiettivi di sviluppo e crescita sostenibile.
In conclusione, occorre ripensare l’intero paradigma con un sistema di pesi e contrappesi che sottragga lo Stato dal primato del “Debito” in favore della “Qualità di vita” del cittadino.
Parole sante. Ed infatti quella proposta da Sovranità Italiana è una vera “Rivoluzione Copernicana”. Servirà un po’ di tempo ma prima o poi lo capiranno tutti!