Ma è veramente possibile coniugare il progresso e la sostenibilità ambientale? Come tutti sanno nel mondo abbiamo avuto diversi periodi che sono passati sotto al nome di “rivoluzione industriale” ma questo nel tempo ha comportato una evoluzione non sempre positiva.

La “prima rivoluzione industriale” si sviluppò in Inghilterra ed è collocata dagli storici in un periodo che va fra il 1760 e il 1780 e termine tra il 1820 e il 1840 comportando un insieme di rivoluzioni settoriali: dall’agricoltura ai trasporti, dalla popolazione alle innovazioni tecniche e finanziarie. Le cause di questo fenomeno d’industrializzazione non sono interamente definite, più elementi convergenti e reciprocamente trainanti l’hanno determinato. La macchina a vapore, con la quale spesso si identifica la rivoluzione industriale, è solo uno fra i tanti fattori dell’industrializzazione e solo una fra le innumerevoli innovazioni tecniche dell’epoca.

La “seconda rivoluzione industriale” fu il processo che rappresentò la seconda fase di sviluppo e che viene cronologicamente riportato dagli storici al periodo compreso tra il Congresso di Parigi (1856) e quello di Berlino (1878), giungendo a pieno sviluppo nell’ultimo decennio del XIX secolo[1], sia pure in concomitanza con la grande depressione di fine Ottocento: in Europa, nel periodo tra il 1850 ed il 1914, si assistette ad una serie di cambiamenti importanti, che mutarono la vita del continente; le innovazioni non furono della stessa portata in tutti i paesi: più significative in alcuni, meno evidenti in altri; tuttavia gli Europei avevano l’impressione di essere giunti ad una svolta.

La “terza rivoluzione industriale” si differenzia dalla precedente; ha compreso processi di trasformazione della produzione di beni che nei Paesi sviluppati occidentali hanno coinvolto aspetti sociali ed economici; a partire dalla metà del XX secolo l’innovazione tecnologica ha innescato mutamenti che hanno prodotto sviluppo economico e progresso sociale, anche se non equamente diffusi; il fenomeno, a partire dalla fine del secolo, si è esteso ad altre realtà, in particolare a Cina e India e Stati Uniti d’America.

Il termine “Industria 4.0” è la propensione dell’odierna automazione industriale ad inserire alcune nuove tecnologie produttive per migliorare le condizioni di lavoro, creare nuovi modelli di business, aumentare la produttività degli impianti e migliorare la qualità dei prodotti. Sul miglioramento delle condizioni di lavoro non vi è un sostanziale accordo tra gli studiosi. Per alcuni infatti il miglioramento delle condizioni di lavoro sarebbe solo una promessa, peraltro non inedita, che ogni trasformazione tecnico-organizzativa porta con sé.
Come è possibile vedere esiste una sorta di “asse comune” fra tutti questi passaggi storici: ogni progresso richiede energia. Sempre più energia e sempre più pulita, perché tutti questi progressi industriali si sono sempre (o quasi) serviti di fonti energetiche non proprio sostenibili, anche se lo abbiamo “scoperto” (si fa per dire) da poco. Ma ora che lo sappiamo è la stessa tecnologia che (finalmente) ci viene in aiuto. Oltre alle fonti rinnovabili che già conosciamo quali l’energia eolica, idrodinamica, solare o geotermica oggi si aggiunge finalmente una energia nucleare pulita:

è di questi giorni la notizia con cui esordisce l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi. E mentre si discute di sicurezza delle fonti di approvvigionamento, di cambiamento climatico e di decarbonizzazione, la svolta potrebbe essere davvero dietro l’angolo. Ci credono gli studiosi del MIT, ci credono i rappresentanti del Congresso, ci credono magnati del calibro di Bill Gates e ci crede l’Eni che è il principale azionista di questo innovativo progetto messo a punto dal Commonwealth Fusion System e che riguarda la realizzazione entro il 2030 di un reattore pilota per produrre energia pulita a bassissimo costo.
Questo è il progresso che ci piace nel mondo che vorremmo: energia sostenibile che sfrutta le più moderne tecnologie per avere energia pulita e sostenibile da non confondere con la ben più pericolosa energia da fissione che è tutta un’altra cosa.
Davide Carlo Serra