Sono passati ormai più di tre mesi da quando il presidente Meloni si è insediato a palazzo Chigi, ed è arrivato il momento di trarre alcune conclusioni su quella che è la rotta intrapresa dal nuovo esecutivo, e capire se davvero possiamo aspettarci il cambiamento tanto atteso rispetto agli anni passati, caratterizzati da governi guidati principalmente dal centro sinistra.

Sono passati tre mesi e mezzo da quando il governo del cambiamento ha sostituito il governo dei migliori, anche se, al netto della propaganda, non è che questo cambiamento di cui il governo Meloni si faceva promotore si avverta più di tanto. Al contrario la traiettoria intrapresa da questo esecutivo sembra essere in continuità con quella dei due governi che lo hanno preceduto (ed in fin dei conti in linea con i governi degli ultimi vent’anni, eccezion fatta forse per il governo giallo-verde del 2018). Le analogie tra i due esecutivi sono davvero molte, e trovano conferma nel fatto che vari progetti di legge e riforme avviati dal governo Draghi sono stati portati a termine dall’attuale esecutivo; per non parlare della NADEF (nota di aggiornamento al documento di economia e finanza), sottoscritta dal Presidente Meloni e dal Ministro Giorgetti e pubblicata il 4 Novembre 2022, dalla quale emerge chiaramente la continuità di intenti con l’esecutivo precedente.

I due interventi mediaticamente più rilevanti che confermano la continuità tra i due governi sono il ridimensionamento del reddito di cittadinanza e del super bonus, misure che in questi due anni hanno dato un contributo essenziale alla ripresa del Pil (dopo il crollo avvenuto nel periodo Covid) alimentando investimenti e consumi. Anche per quanto riguarda la visione geopolitica l’affinità tra i due governi è inequivocabile, nonostante in passato la stessa Giorgia Meloni (come molti esponenti di Fratelli d’Italia e del resto del centro destra, Crosetto, Salvini e Berlusconi in primis) avesse espresso aspre critiche nei confronti di Washington per come la Nato, a guida statunitense, si rapportasse con la Russia di Putin.

Ma quello che stupisce di più, e che fa davvero preoccupare, è la dialettica adottata dal nuovo governo, e non mi riferisco affatto alla retorica neo-fascista che qualche disperato dell’opposizione tenta di affiliargli, ma ad un completo e totale asservimento a quelli che sono i dettami di Bruxelles e di Washington. Come Draghi infatti anche Meloni oggi si definisce assolutamente europeista ed atlantista, nonostante anni e anni di campagna elettorale fondata sul Sovranismo e sull’integrità nazionale, argomenti che sono completamente spariti nella realtà dei fatti, salvo poi essere opportunamente inseriti (per gettare un po’ di fumo negli occhi agli elettori) nel nome di qualche dicastero senza però essere perseguiti realmente, ne dal punto di vista normativo ne tantomeno da quello economico. L’inversione di rotta di Giorgia Meloni si era percepita già durante la compagna elettorale, durante la quale aveva fatto trasparire un svolta liberista ed europeista, mostrandosi pronta, una volta al governo, a recepire gli ordini internazionali a discapito della popolazione, che in questo periodo post crisi più che mai aveva bisogno di uno Stato forte e presente per ripartire. Infatti, invece di una manovra finanziaria espansiva (come quella post Covid), si è optato, come previsto dai trattati e dalle direttive UE, per l’ennesima manovra inconsistente che ben poco aiuterà a risolvere le criticità strutturali del paese e i problemi a breve termine, legati all’aumento del costo della vita.

Insomma, fino ad ora quello di Giorgia Meloni, più che il governo del cambiamento sembra essere il governo del proseguimento, sta infatti proseguendo quello che è il cammino iniziato dai governi precedenti, un cammino stabilito per noi a Washington e a Bruxelles, tracciato attraverso i trattati internazionali e le direttive comunitarie, messo nero su bianco in documenti programmatici come il PNRR o l’agenda 2030 a cui sono subordinate le scelte politiche dei Governi nazionali da qui ai prossimi anni. Questa politica di sottomissione nazionale agli interessi UE e a Washington ha portato negli ultimi vent’anni l’Italia a vedere triplicare il numero di famiglie sotto la soglia di povertà assoluta, a vedere sbriciolare i risparmi e il potere di acquisto degli italiani e a ridimensionare la nostra economia, fatta da piccole e medie imprese, a vantaggio dei grandi capitali, soprattutto esteri, che continuano a giovare delle privatizzazioni e del libero mercato, e pezzo per pezzo si stanno comprando il nostro paese (come nel caso di Alitalia che sta per essere consegnata in mani straniere).

Chi ha votato Meloni pensando che fosse un’alternativa ai governi precedenti rimarrà molto deluso, la verità è che nessun governo sarà veramente in grado di fare gli interessi degli italiani senza prima riprendersi la propria indipendenza, senza riprendere il controllo della propria economia monetaria e fiscale, senza riprendere il controllo normativo e politico. Questo tuttavia richiede coraggio, è una strada lunga e difficile, è più facile adattarsi, così da non rischiare di intralciare determinati interessi e continuare a governare in tranquillità per i prossimi cinque anni, ricordandosi di non alzare troppo la testa.

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